lunedì

L'ozio


Un bel post sull'OZIO!

Beer, Marina. L’ozio onorato. Saggi sulla cultura letteraria italiana del Rinascimento. Roma: Bulzoni, 1997

"La contrapposizione fra otium ("ozio") e negotium ("attività lavorativa") è concepita, nella tradizione classica, come una necessaria alternanza fra gli svaghi e gli impegni della vita pubblica. Il termine negotium è composto da nec e otium e significa letteralmente "non ozio": «nostrum autem otium negotii inopia, non requiescendi studio constitutum est» (Cicerone, De officiis, III 1: "il mio ozio, invece, è imposto non già dal desiderio di quiete, ma dal non aver più nulla da fare").
Il tema topico dell’otium litteratum, ovvero l’ozio dedicato ad attività culturali, alle humanae litterae, è teorizzato ancora da Cicerone nelle Tuscolanae disputationes: «quid est autem dulcius otio litterato? is dico litteris, quibus infirmitatem rerum atque naturae et in hoc ipso mundo caelum terras maria cognoscimus» (V 36: "cosa c’è di più dolce dell’ozio letterario? Alludo a quegli studi per mezzo dei quali arriviamo a conoscere l’infinita natura, e il cielo e la terra e i mari, mentre siamo ancora nel mondo").
Già nella fondazione classica di queste categorie l’otium rimanda alla solitudine, intesa come dedizione alla vita contemplativa, perché «otium sine litteris», dice Seneca, «mors est et hominis vivi sepultura» (Ad Lucilium, X 82: "Il riposo senza gli studi è anch’esso morte, è sepoltura di un uomo vivente").
L’esaltazione della vita ritirata, il desiderio dell’otium come occasione di riflessione e di studio è oggetto di una delle più celebri opere di Petrarca, il De vita solitaria. Ad un’esistenza immersa nel caos e nel frastuono cittadino, il poeta contrappone l’isolamento e la pace della campagna, che consente la pratica di un otium interamente consacrato alla lettura e alla scrittura, in un costante colloquio con gli Antichi e le loro opere.
L’ozio ha una doppia accezione, sia positiva che negativa (in questo caso si chiama otiositas), così definita da Polyanthea: «quum quis quiete necessaria saluti corporis accepta, vacat ab aliquo opere spirituali vel corporali, et est filia acediae» ("quando qualcuno, raggiunta la quiete necessaria alla salute del corpo, resta senza fare niente di spirituale o materiale, ed è figlia dell’accidia"). L’ozio è dunque correlato al vizio dell’accidia, affine alla pigritia ("pigrizia"), all’inertia ("indolenza"), alla fatigatio animi ("stanchezza d’animo"). Continua Polyanthea: «Otium est vacatio a labore, cuius contrarium negotium est. Aliquando otium pro literarum studio capitur» ("L’ozio è sospensione del lavoro, e il suo contrario è l’attività. Talvolta si ozia per dedicarsi agli studi letterari").
Come condizione perniciosa di inattività e di inoperosità, l’ozio è stigmatizzato da Alberti nei Libri della famiglia: «El grembo degli oziosi sempre fu nido e cova de’ vizii; nulla si truova tanto alle cose pubbliche e private nocivo e pestifero quanto sono i cittadini ignavi e inetti. Dall’ozio nasce lascivia; dalla lascivia nasce spregiare le leggi; dal non ubbidire le leggi segue ruina ed esterminio delle terre» (II 70). Ma sempre l’Alberti parla di «onestissimo ozio» (III 290), in riferimento all’otium umanistico dello studiolo: come sinonimo di attività intellettuale, l’ozio rimanda a quei gentiluomini che, presso le corti di Antico Regime, si occupano di lettere per acquisire fama e benefici, cioè onore e utile. In questo senso l’ozio diviene quindi occupazione onesta e pertanto onorata.
Una connotazione negativa ha lo stare in ozio per Machiavelli, poiché in esso si annida il pericolo, il rischio della rovina dello stato: «perché la cagione della disunione delle repubbliche il più delle volte è l’ozio e la pace; la cagione della unione è la paura e la guerra»(Discorsi sopra la prima decade di Tito Livio, II 25). Significativa, a questo proposito, è la seguente affermazione di Castiglione: «però è ancora officio del bon principe istituire talmente i populi suoi, e con tai leggi ed ordini, che possano vivere nell’ocio e nella pace senza periculo e con dignità e godere laudevolmente questo fine delle sue azioni che deve esser la quiete» (Libro del Cortegiano, IV 27). Ma è sempre Castiglione ad affermare che «l’ocio troppo facilmente induce mali costumi negli animi umani» (IV 28).
Come vizio sociale è condannato nei Ricordi di Saba da Castiglione, nel capitoletto intitolato "Cerca a fugire l’ozio", dove riprende una persuasione proverbiale: «Per esser l’ozio da ciascun dannato e vituperato come fomento e ministro di ogni vizio, di continuo il fuggirete, come nemico capitale di ogni virtù».
Questa immagine negativa dell’ozio sostituisce, nel Cinquecento della Controriforma, l’ideale umanistico, e infatti l’immagine prodotta dall’Iconologia di Ripa corrisponde a un comportamento tutto vizioso, nei dettagli iconografici: «Giovane grasso, in una caverna oscura, sedendosi appoggiato col gomito sinistro sopra d’un porco che stia disteso in terra, e con la medesima mano si gratti il capo; sarà tutto sonnacchioso». Ripa ricorda, poi, i seguenti versi di Ariosto, in cui è presentata una simile allegoria dell’ozio: «In questo albergo il grave sonno giace; / l’ozio da un canto corpulento e grasso» (Orlando furioso, XIV 93).


4 commenti:

Anonimo ha detto...

Un po' di ozioquando il mondo gira a velocità vertiginosa, ci fa bene, ci permette di ritrovare i nostri pensieri, quelli nostri nostri non quelli indotti da una vita sempre "in mezzo" Ciao Giulia

Anonimo ha detto...

A me piace oziare, soprattutto nel mio giorno libero, sto sul divano con camino acceso, libro e portatile, e se mi va, pure la cioccolata calda mi bevo.
Baci.

Anonimo ha detto...

Una volta sei passato dalle mie parti..ecco che ricambio! tremendamente in ritardo..come il mio solito..

Anonimo ha detto...

Un saluto non ozioso ;)